L'AVANGUARDIA INISTA: OLTRE LA SOGLIA DEL 2000

di Antonio Gasbarrini

Transitoria ed effimera, ma guerrigliera e rivoluzionaria, l'indigesta, antiborghese parola Avanguardia coniata per primo dall'utopista Saint-Simon, fatta propria (solo a metà) da Baudelaire e messa poi realmente " in opera" dai Futuristi italiani, ha trovato nell'Inismo (dall'acronimo I. N. I., Internazionale Novatrice Infinitesimale) la sua più recente reincarnazione. Data per morta a più riprese dopo la chiusura del ciclo sismico tracciato dalle Avanguardie storiche (ciclo contrassegnato dalle date di nascita del Futurismo 1909, Dadaismo 1916, Surrealismo 1924 ed i cui effetti si sono protratti fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, 1946) e la rinascita neo-avanguardista degli anni Cinquanta-Settanta (Action Painting, Minimal Art, Conceptual Art, Land Art, Body Art, Arte Povera, Arte Cinetica e Programmata, etc.), all'inizio degli anni Ottanta risorge — come Araba Fenice — con l'Inismo.
Mettendo subito in chiaro nel suo Primo Manifesto dell'80, oltre all'utilizzazione "estetica" dei simboli della fonetica internazionale, il debito contratto con le Avanguardie storiche soprattutto per quanto concerne i loro rinnovati rapporti "rinascimentali" instaurati con la scienza:"L'avant-gard aussi est une "genre", historiquement le plus important après ceux d'antiquité parce qu'elle a porté le mond vers nous; vers sa science toujours en évolution (en ce moment chimique, électronique: que l'on pense à l'audiovisuel par rapport à la poésie sonore)".
Il baricentro poetico ed ideologico di una nuova visione della vita e del mondo scaturita dalle inarrestabili scoperte di una "science toujors en évolution", concentrerà nel termine Infinitesimale dell'Inismo tutta l'energia subatomica sprigionabile dalla particella ultima della creatività: "D'autre part il est inutile de limiter le domaine de l'art comme l'ont fait tous les théoriciens jusqu'aujourd'hui. La création n'a pas de fin, elle est infinitésimale. Le futuriste prêchaient la vitesse, les paroles en liberté, l'imagination sans fils; les dadaïstes l'abolition des règles; les surréalistes l'onirique et le langage automatique, nous autres de l'INI, l'INFINITESIMAL [...]".
E mentre il riconoscibilissimo Segno inista presente in ogni opera costituisce la cellula, il DNA memoriale-storico della rinnovata creatività avanguardista ("I segni sono un'orchestrazione di sentimenti e pensieri, la visione multipla e globale che ci presenta la vita e colgono l'ordine supremo che nasce dal caos. Li abbiamo chiamati "inie"", Bertozzi), l'Infinitesimale rappresenta la trasgressione, il sabotaggio ad ogni tipo di imbalsamazione dell'arte, delle idee, e delle stesse idee sull'arte, così come nella scienza ogni legge di natura è valida fino al momento della sua falsificazione (Popper).
Sarà il Secondo Manifesto dell'87 a sottolineare questo decisivo aspetto della ricerca avanguardista contemporanea con una serie di aforismi che mentre stabiliscono in modo perentorio i nuovi canoni fondati dalla poetica inista per il recupero rituale, magico e sacrale di una parola-segno-inia distrutta dai media ("@ il poeta può usare indifferentemente penna, pennello, computer o martello, nastro o pellicola / [...] @ il martello e la penna sono destinati ad esser soppiantati nella quotidianità dal computer, ma così ritroveranno un Age d'or, perché il loro uso ricomparirà nel rito sacro e non nell'abitudine / @ le parole non saranno più termini convenzionali e riacquisteranno il loro potere magico, evocativo, sacrale. All'inizio era la parola e il poeta ritroverà la parola / @ la parola sarà inedita o avrà sensi inediti / [...] ") prevedono, "saggiamente", il superamento dello stesso Inismo, e quindi dell'Avanguardia inista e di tutte le Avanguardie a venire, alla stregua delle nuove scoperte scientifiche che azzerano come si è già detto, con la falsificazione attuata con gli esperimenti, le precedenti leggi di Natura ritenute immutabili ed eterne prima di quell'istante.
Ecco quindi l'invito rivolto, in prospettiva, alle nuove generazioni alle prese con il futuribile della creatività : "@ comprendete il nostro discorso prima di obiettare; quando l'avrete compreso non obietterete perché sarete intenti a superarci. È quello che vogliamo!!".
La coscienza dei limiti temporali di ogni Avanguardia — Inismo compreso — non impedirà, comunque, di proclamare una delle regole di condotta essenziali nell'ambito della "creatività pura inista" per non cadere nella trappola della degenerazione manierista: "Non ci ripeteremo mai [...]".
Da notare, nella stesura del Manifesto, l'uso del simbolo @ (siamo nell'87!) diventato poi così familiare nella nuova Era digitale di Internet esplosa in tutto il mondo solo alla fine dello scorso secolo.
Un altro punto forte dell'Avanguardia inista è stato, poi, quello dell'abolizione dei settori operativi (pittura, scultura, musica, cinema, fotografia etc.), con conseguenti sconfinamenti, interconnessioni, contaminazioni dei vari generi espressivi. Ne è un tangibile esempio la Videoinipoesia, il cui Manifesto (del '90) precisa molto bene i limiti, in ambito estetico, di ogni virtuosismo affidato alla passiva cooperazione tra artista e tecnologia. La Videoinipoesia è: "Musica d'immagini (con musica). Pathos e ritmo dell'inia in movimento./ [...] La Videonipoesia non è soltanto multimediale / Il collage era anche una filosofia / Il collage non era multimediale. / Il multimediale è anche una filosofia. / L'arte multimediale (specialmente quella sbandierata) è segno di impotenza e grossolanità intellettuale. / Nella pratica multimediale qualcuno di noi è un virtuoso. Già sentiamo che il collegamento del computer con la videocamera, il compact disc e altro potrà rappresentare tra non molto, un limite. / [...] Dalla tecnologia alla scienza. Prima l'opera d'arte era sintesi ed esposizione, ora è pure analisi e scoperta./ [...] ".
C'è inoltre da rilevare che mentre nei Manifesti delle Avanguardie storiche e non, si è riscontrata spesso una forte divaricazione tra le enunciazioni teorico-programmatiche e la realizzazione di opere effettivamente coerenti con i paradigmi linguistici ed estetici di volta in volta prefissati, nell'Inismo avviene un po' il contrario, nel senso che l'opera, o meglio, nel divenire dell'opera inista, lo stesso contenuto del Manifesto viene spesso integrato se non addirittura sorpassato. Un esempio di tale constatazione può farsi con la videonipoesia Monologo acceso iniziata da Bertozzi nel '90 e portata a termine nel '92. Nel video, della durata di una decina di minuti, poesia concreta e visiva, musica concreta (contemplate solo in parte nel Manifesto), scrittura, danza di fonemi (non prevista), video e cinema, sono fusi in una nuova entità poetica dotata di un suo autonomo linguaggio (della Videoinipoesia cioè); con in più una salutare ridondanza creativa scaturita dalle continue scoperte formali ed "espressive" maturate nel corso della esplorazione tecnologica applicata all'opera (nel caso specifico riprese con la videocamera, montaggio e sonorizzazione nello studio televisivo, etc.).
L'uso alternativo dei vari strumenti tecnologici di volta in volta usati dall'artista al fine di esaltare al massimo simbiotiche assonanze tra mezzo ed opera, è stato lucidamente formulato nel Primo manifesto della fotografia inista (del'96). In esso, oltre a varie declinazioni teoretiche sulla "fotografia inista" ("una scrittura inista ottenuta con la luce e con l'esclusione a priori di ogni intervento manuale o col computer o con qualsiasi altro mezzo") e sulle sue ulteriori varianti di "fotoinigrafia" ("opera ricca di segni scritturali, pittorici e di altra natura posti successivamente [sulla fotografia]", "inigrafia" ("nome generalizzante che può definire qualsiasi operazione inista [di manipolazione dell'immagine fotografica di base, in modo particolare di quella digitale]" e "poème [photographique iniste]" ("poesia fotografica impiegata nell'arte postale"), vengono precisati i confini della realtà fotografabile, e cioè: "l'attimo puro inista; l'infinitesimale; l'immagine mentale".
Certo è, rispetto ad altre esperienze avanguardiste nell'ambito della fotografia — ad iniziare dalla fotografia fotodinamica del futurista Anton Giulio Bragaglia degli anni Dieci, passando poi per le chadografie dell'artista dada Christian Chad (1918), le rayografie del surrealista "in potenza" Man Ray (1921) e le immagini concettuali di Laszlo Moholy Nagy dell'anno successivo — nessun altro movimento d'avanguardia aveva dedicato tanta attenzione (ma in ciò l'Inismo è stato favorito anche dallo Spirito del tempo) ad una delle modalità espressive centrali della civiltà delle immagini e dell'informazione.
Rovesciandone però, della stessa, gli amorfi, piatti, presupposti ideologici e mercantili finalizzati al consumo di immagini che si "autovendono" per far vendere di più, magari con gli strabilianti effetti speciali dei films d'azione americani. Come? Riproponendo, della realtà, non già semplici frammenti del suo doppio fotografico, ma recuperandone i tratti poetico-metafisici: "Fotografarono in seguito il caos riconducendolo all'ordine supremo. Non conobbero più limiti. Com'era piccolo il tempo per la loro mente così grande! Com'era piccolo il mondo per il loro diaframma!"(dal Manifesto della fotografia inista).
E nel vedere le "non-foto" esposte al Kemi Art Museum (delle quali parleremo più avanti) ci si renderà conto sia della subalternità tecnologica dello strumento (macchina fotografica, computer, microscopio) rispetto alla ideazione dell'immagine in progress degli inisti, sia del tenace antagonismo poetico tra la fotografia inista (e sue varianti) e le intercambiali, traslucide icone fotografiche, filmiche, video vomitateci quotidianamente addosso dai media (computer ed Internet compresi). Un solo esempio per tutti: ci vogliamo riferire subito alla fotografia inista Buenos Aires scattata nel '97 da Bertozzi. Già il termine "scattata" è inadeguato per descrivere il procedimento tecnico adottato dall'autore consistente nella sovrapposizione analogica (impressione della sola luce sulla pellicola senza alcuna successiva manipolazione) di più immagini sullo stesso fotogramma. Pur essendo reali lo scorcio metropolitano di case, grattacieli, strade, macchine, alberi, persone ed i tubetti di colore allineati uno accanto all'altro su quattro distinti piani prospettici, l'indubbia trasfigurazione immaginifica ci fa sentire, più che vedere, l'indimenticabile faccia di una realtà "altra" in cui la metafora del colore, dell'arte e della pittura fa pulsare come non mai il cuore architettonico della città.
Non a caso, nel Manifesto dell' Arkitettura Nuova (del '96) viene tra l'altro affermato:"La casa sarà la città, la città il mondo, il mondo la stanza, la stanza il sogno, la visione remota oltre lo spazio remoto [...] La gioventù vuole i graffiti. Quando i giovani torneranno ad esser giovani e si solleveranno, il mondo sarà pieno di graffiti. I graffiti hanno salvato molti dal suicidio per overdose". E cosa rappresentano quei tubetti di colore se non la praticabilità di un graffitismo di massa affidato alla palingenesi delle inie?
Nell'opera Buenos Aires sono compresenti, inoltre, i paradigmi estetici e linguistici sia del Manifesto della Fotografia inista che del Manifesto dell'arkitettura nuova, e ciò, in piena assonanza con alcune dichiarazioni poetiche sull'olismo dell'opera d'arte leggibili nel II Manifesto dell'INI argentino (del '90): " Ogni sillaba di un poema — o ogni pennellata di un quadro o la sequenza particolare di un video — fa parte di una sintesi che sottoposta a un processo di meditazione — o decodificazione — ci darà il senso del suo insieme. L'inismo argentino si propone di recuperare la percezione dei suoi popoli primitivi che attraverso le loro pratiche e la loro arte dimostrarono di possedere una concezione globale della realtà".
Ma al di là di quest'ultima affermazione alquanto lontana dalle pratiche analitiche di tanta neo-avanguardia contemporanea (si pensi alla Minimal o alla Conceptual Art) e di alcune concezioni dell'Arte inista maturate in contesti civili e culturali diversi da quello latino-americano, la storia più lontana e recente di questo Movimento diventato nel corso dei suoi venti anni di vita una Corrente internazionale presente in varie parti del mondo (si rimanda in proposito all'"Intervista a Laura Aga-Rossi"), dimostra la legittimazione della pratica avanguardistica alla fine del Secondo ed all'inizio del Terzo Millennio: in una contrapposizione frontale, quindi, con il "pensiero debole" che è alla base della filosofia del Post-moderno.
Qui, nel prestigioso spazio espositivo del Kemi Art Museum - dove ho già creato una Rassegna dell'Inismo nel 94 e, a stretto ridosso della Mostra inista allestita con successo al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires nei mesi di maggio-giugno scorsi - l'Inismo si presenta con opere di pittura, scultura, librioggetti, fotografia, abbigliamento, film, video, multimedia, di alcuni tra i più affermati aderenti al movimento: Gabriele-Aldo Bertozzi, Laura-Aga Rossi, Giovanni Agresti, Kiki Franceschi, Iniero Garesto, Eugenio Giannì, Giorgio Mattioli, Angelo Merante (Italia), François Proïa e Marinisa Bove (Francia), Juan Molero Prior e Jabier Herrero (Spagna), Pietro Ferrua e Paul Lambert (U.S.A.), Lisiak-Land Díaz (Perù), Neli Maria Vieira (Brasile).
Per ognuno degli artisti è presente almeno un'opera di pittura (le tele senza cornici e di grandi dimensioni, sono del formato medio di cm. 200x150), mentre per altri si va dalle sculture di piccole dimensioni (Franceschi), alla fotografia (Bertozzi, Merante, Proïa), al libro oggetto (Agresti), al libro d'artista ed alla Videoinipoesia (Bertozzi), all'abbigliamento inista (Laura Aga-Rossi), al film in 16 mm. (Proïa), al teatro su CD (la compagnia teatrale di Mattioli su testo e musica di Bertozzi), all'Inika Sonorika (Merante).
Più che al commento dei singoli lavori o della poetica di ogni autore, affidiamo la nostra lettura critica alla sottolineatura di alcune costanti formali dell'Inismo quali l'inia, il segno grafo-fonematico par excellence che, simbolo germogliato dall'alfabeto della fonetica internazionale, si è nel corso degli anni espanso: prima inglobando inie di alfabeti appartenenti a civiltà scomparse, successivamente innervandosi con inie di alfabeti immaginari. E come nell'atomo ogni particella subatomica contribuisce all'energia del tutto, così nell'opera inista ogni "frammento d'inia" può essere considerato la particella ultima della creatività e della parola. L'inia, quindi, come viaggio mentale e visivo nella viscere ultime della "scrittura di immagini" (La Poesia astratta e le Letterature Odeporica e Prêt-à-porter sono altri momenti espressivi dell'Inismo). Ma le inie, nella loro valenza semiotica ed estetica sono infinite e mai uguali a se stesse.
Fluenti e arabescate in Laura-Aga Rossi, si trasmutano in segni-segnali alchemico-esoterici nei lavori di Gabriele Aldo-Bertozzi ed in percorsi labirintici e mappali in quelli di Giovanni Agresti, mentre una sorta di architettura microscopica sorregge gli sciami prospettici di Angelo Merante. L'oscillazione grafica può poi passare dall'evidente corporalità delle lettere-miniatura di Jabier Herrero, alla plasticità geometrizzante di Neli Maria Vieira ed alla pura vibrazione digitale delle immagini di Molero Prior. Varie accentuazioni ideogrammatiche possono poi rinvenirsi nei lavori di Lisiak- Land Díaz, Marinisa Bove, Iniero Garesto e Kiki Franceschi. Geneticamente più in sintonia con la texture segnica e materica della pittura sono poi le inie "sonore" di Eugenio Giannì, graffite di Giorgio Mattioli e gestuali di François Proïa. Pietro Ferrua e Paul Lambert prediligono, invece, l'angolazione del collage tra inia ed icona, collage sollecitato dalla trasfigurazione poetica dell'anemica comunicazione mass-mediale metropolitana.
Da quanto finora detto, pur essendo più evidenti le affinità che le diversità (essendo unica la matrice poetica), la riconoscibilità dell'opera inista è affidata alla devastazione virale attuata con le inie all'interno della parola-immagine consueta (sia essa stata d'avanguardia, e non sembri questa sottolineatura una gratuita aporia) per il suo superamento, rinnovamento e posizionamento ad un livello superiore di intelligibilità della realtà visibile ed invisibile (fisica, microfisica e psicologica), intelligibiltà mai disgiunta da un coinvolgente pathos.
Queste peculiarità possono percepirsi molto bene al Kemi Art Museum nelle fotografie e inigrafie iniste di Gabriele-Aldo Bertozzi, Angelo Merante e François Proïa, ove una delle discipline estetiche più fortunate all'interno dell'arte moderna e contemporanea nonostante il disprezzo e gli anatemi lanciati a metà dell'Ottocento da Baudelaire, è stata rivoluzionata dagli inisti in modo semplice per quanto attiene la prassi, ma del tutto originale per quanto riguarda l'invenzione iconografica. Quest'ultima è prettamente progettuale nella fotografia inista, in quanto non essendoci mai alcuna manipolazione della pellicola fotografica (al momento di scrivere questa nota critica le fotografie iniste sono tutte analogiche, cioè ottenute con la sola impressione della luce), occorre prestabilire in anticipo l'"immagine finale immaginata" dalla sovrapposizione di più scatti dati sullo stesso fotogramma (Bertozzi) o di un solo scatto preceduto da una "messa in scena" virtualmente installazionista ottenuta con immagini rimbalzate con giochi di specchi (Merante).
Nella inigrafia, invece, nella stratificazione formale e segnica finale è rinvenibile sempre un intervento digitale (Proïa) o manuale. Alle diversità tecniche, corrisponde comunque un'identità poetica di alta caratura estetica degna della migliore attenzione: non solo di sistematizzazione critica o storiografica, ma più squisitamente fruitiva.

Gli inisti, infatti, nelle loro prolifiche escursioni avanguardiste si sono sempre fatti carico di ri/trovare un giusto, anche se precario equilibrio, tra significante e significato, forma e contenuto, mezzo e fine, per ripristinare tra fruitore ed opera una nuova intesa. Basata non tanto sulla sacrale distanza auratica di Walter Benjamin, quanto sulla vicinanza epifanica instaurabile tra i silenzi e gli indugi (Gadamer) di un fruitore che vuol guardare per capire e di un'opera che si fa vedere per far capire, ma anche toccare (abbigliamento inista), leggere, vedere e sentire (romanzo e teatro, videoinipoesia, film inisti).